Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.
Ognuno di noi, che lo sappiamo o no, è preso nel linguaggio e nella sua equivocità ineliminabile. Il linguaggio ci permette, sì, di comunicare, ma in modo così imperfetto! E possiamo passare tanto tempo della nostra vita a spiegare che non volevamo dire quello, ma quell’altro, o che il nostro interlocutore ha capito una cosa, ma noi volevamo dirne un’altra.
La psicoanalisi, a partire da Sigmund Freud, scopre l’inconscio e il suo legame con il linguaggio, con la sua dimensione equivoca, che è alla base dei meccanismi di formazione del sintomo, del sogno e del motto di spirito, cioè delle formazioni dell’inconscio.
Il linguaggio, attraverso le parole, può marchiare i soggetti, lasciando segni che ognuno si porta dietro nella vita. Ognuno di noi, che lo sappiamo o no, è stato in qualche modo segnato da frasi, ascoltate in particolare nell’età infantile, alle quali più o meno consapevolmente si è adeguato, o contro le quali si è ribellato.
“Ti chiami Giuseppe come tuo nonno”, “Sei tutta tua madre”, “È un segreto”, “Ha rischiato di morire”, eccetera. Frasi qualunque, non necessariamente dette per dire qualcosa di importante; frasi oscure per il soggetto, che nell’inconscio le ha interpretate e ha dato loro un senso che ha segnato il suo modo di stare al mondo. A partire di qui, ogni soggetto ha costruito dei sintomi, che possono farlo soffrire e portarlo da uno psicoanalista. Per un certo verso quindi possiamo dire che i sintomi hanno tutti un senso, e questo senso non è universale, ma è il senso costruito dal soggetto.
La scoperta della psicoanalisi è stata proprio quella di cogliere l’esistenza di questo “senso nascosto”, inconscio, dei sintomi – che Freud chiama “l’altra scena” – e il suo funzionamento secondo le leggi del linguaggio.
Una psicoterapia – quando non è una TCC centrata sulla soppressione del sintomo – può orientarsi sulla ricerca del senso dei sintomi: si tratta di ricostruire il legame tra i sintomi e il senso, tra i sintomi e l’interpretazione che abbiamo dato di quelle parole oscure che abbiamo udito. Questo permette di percorrere a ritroso la catena e venirne a sapere qualcosa. È un aspetto essenziale se non si vuole ridurre l’umano a una macchina che può funzionare bene o male.
Lo psicoanalista francese Jacques Lacan introduce anche un’altra dimensione che è, potremmo dire, al di là del senso. Egli mette l’accento su quello che ha chiamato godimento, cioè un versante di soddisfazione (non necessariamente piacevole) che tocca il corpo e che non ha a che fare con alcun senso.
Oltre al malinteso connaturato al linguaggio e alla decifrazione del significato dei sintomi c’è anche l’impatto che il linguaggio ha sul corpo, con l’effetto di soddisfazione, di godimento, di marchiatura, che ne deriva.
Quindi, a costituire un trauma, nel senso di lasciare un segno, un marchio, non sono tanto le parole per il loro senso, o le frasi che ci vengono rivolte, ma le parole con il loro suono, anche al di là del senso, potremmo dire le prime parole, le parole più private e singolari, parole che producono nel corpo effetti di godimento (non di piacere). È la lingua nella sua materialità. E la costruzione/ricerca di un senso è un tentativo di venire a sapere qualcosa sul godimento, che invece non ha alcun senso.
L’inconscio è anche un modo di saperci fare con la lingua, cioè quello che un soggetto costruisce a partire da sensazioni del corpo che non sono dicibili, che sfuggono alla possibilità di essere detti e anche di essere decifrati. Il godimento infatti, diversamente dalle formazioni dell’inconscio, non si decifra.
Questo cambiamento di accento, dalla decifrazione alla soddisfazione, comporta anche un cambiamento nella conduzione della cura. Ed è il punto su cui la psicoanalisi lacaniana si differenzia da tutte le psicoterapie. L’operazione dell’analista per eccellenza non è più tanto l’interpretazione che punta a svelare un senso nascosto e dunque a produrre una verità inconscia, ma piuttosto l’atto, che ha valore di taglio (taglio del tempo della seduta, taglio del discorso…), che punta a separare l’analizzante dalla fissità di una certa posizione di godimento. Non dal godimento di per sé, ma dalla fissità che lo fa soffrire. Possiamo dire che punta a produrre qualcosa di nuovo, anche sul versante del godimento.
dott. Maria Bolgiani
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