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Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.

Pari opportunità: donne carriera e famiglia

• 5 Dicembre 2014 ,
donne carriera e famiglia

 Mistero nordico

donne carriera e famiglia

Nei posti che nel mondo sono considerati, quanto al lavoro, i più aperti alle donne, le stanze della direzione sono ancora appannaggio dal genere maschile.

(L’Economist del 15 novembre 2014)

“I paesi nordici hanno fatto più di tutti gli altri paesi per dare alle donne pari opportunità. Il congedo di maternità è generoso. Le prestazioni dello Stato in termini di cura e custodia dei bambini sono di prima classe. Il numero di laureate supera quello dei maschi di sei a quattro. La metà dei ministri finlandesi e il 57%  di quelli svedesi è di sesso femminile. L’ultimo Global Gender Gap Index, redatto dal World Economic Forum (WEF), attribuisce i primi cinque posti ai vichinghi: l’Islanda arriva prima, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia e Danimarca. La regione è anche stata leader nell’introduzione di quote rosa negli organi sociali. La Norvegia ha aperto la strada e attualmente richiede alle aziende quotate in Borsa di assegnare almeno il 40% dei posti nei consigli di amministrazione alle donne. Islanda, Finlandia e altri paesi europei hanno introdotto requisiti simili.

Ma tali norme riguardano solo i posti nei consigli di amministrazione e solo quelli delle società quotate. Visitate una tipica sede di una società nordica e noterete qualcosa di sorprendente tra le scrivanie e i mobili modernisti: i dirigenti sono ancora per lo più uomini, e la maggior parte delle donne sono personal assitant. La fiamma egualitaria che brucia così brillantemente al fondo della società, farfuglia in cima al business. Il WEF ha classificato la Danimarca 72° in termini di divario di genere tra i funzionari e dirigenti. Ci possono essere più donne nei consigli di amministrazione, ma la persona che gestisce lo show è quasi sempre un uomo: solo il 6% delle imprese quotate norvegesi ha avuto un amministratore delegato donna nel 2013, poco meglio del 5% delle aziende americane nella lista Fortune 500.

Si discute molto sul perché le donne vichinghe non siano riuscite a rompere il soffitto di cristallo. La sinistra mette in conto che si sia ancora affetti da  pregiudizi inconsci. La destra sostiene che sia una questione che concerne le singole donne che scelgono di dare la priorità ai loro figli.”

Le spiegazioni che il settimanale inglese propone sono due: l’ipotesi che generose politiche sociali possano ritorcersi contro i loro destinatari e che le donne nordiche si trovino di fatto incoraggiate dai generosi congedi maternità a dedicarsi di meno alla carriera, proprio negli anni in cui i loro colleghi uomini stanno facendo preziosa esperienza. La seconda ipotesi è che a causa dell’elevato impatto fiscale delle politiche sociali paritarie, le donne non possano permettersi adeguati aiuti domestici nel caso in cui decidano di dedicarsi alla carriera, cosicché esse vengono pesantemente gravate da impegni domestici e familiari quotidiani e time-inflessibile, non condivisi dagli uomini che generalmente si limitano a collaborare nel week-end.

Il settimanale non considera una terza ipotesi e cioè che non si tratti tanto dell’impossibilità di assumere personale domestico ad obbligare le donne a dedicarsi agli impegni familiari anche quando si stanno investendo sul lavoro, ma che ad agire sia un’impossibilità che molte donne incontrano di trascurare ogni ambito extra-lavorativo senza sentirsi spossessate da se stesse e spesso – soprattutto in presenza di figli- anche in colpa.

La cosa particolare che nota il settimanale – citando uno studio di Marianne Bertrand dell’Università di Business School Booth di Chicago e colleghi – è che l’introduzione di quote rosa nei consigli di amministrazione non pare abbia avuto effetti sui livelli inferiori al top management. In particolare non pare vi siano miglioramenti nel divario di genere in termini di prospettive di carriera e di livello dei redditi, né in termini di frequenza delle Business-School.

Il settimanale conclude che i provvedimenti presi sono troppo vaghi o troppo prescrittivi.

Le politiche sociali di facilitazione rendono la vita più facile per le donne ma non incoraggiano a puntare in alto. Le quote rosa nei consigli di amministrazione puntano ad un effetto finale, ma non modificano i processi che conducono a quell’effetto e – a parte le persone specifiche che accedono alle quote – non rafforzano le prospettive di carriera femminili.

Il settimanale conclude con un elenco di proposte che cerca di cogliere quanto può essere ancora fatto in questo campo: dalla promozione della assegnazione a donne di incarichi di responsabilità alla possibilità di un tutoraggio delle donne senior sulle giovani, all’incoraggiamento dei padri che prendono permessi parentali, alla – importantissima – riduzione dell’enfasi sulla continuità del servizio, che attualmente campeggia in tutti i comitati di selezione e soprattutto nelle teste di molti manager.

Per noi la questione non è tanto quanto può essere fatto, ma cosa ci dicono silenziosamente questi dati sulle politiche paritarie in ambito lavorativo. Cosa ci dicono dalla parte delle donne, del loro desiderio, delle loro aspirazioni, del loro rapporto con la maternità. E, su un piano più ampio, sulla impossibilità di aggirare con mezzo normativi le leve che agiscono inconsciamente nella nostra società.


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