Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.
DSA, BES e interventi scolastici in una prospettiva psicanalitica
I DSA sono un sottogruppo dei disturbi presi in considerazione dalla pedagogia speciale che si è andato differenziando dall’area dell’handicap sotto la spinta di vari fattori che sono stati esaminati nel primo capitolo di questo libro. Una volta creata, la categoria di DSA è stata il perno su cui ha ruotato tutto il sistema delle interpretazioni e degli interventi scolastici nei casi di difficoltà. A partire dal nome la difficoltà dell’apprendimento è ricondotta a un disturbo mentale. Per parlare con qualche cognizione di causa delle difficoltà scolastiche con i termini della nuova nomenclatura dobbiamo quindi addentrarci nel linguaggio della nuova psichiatria e del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) del quale fa parte la diagnosi di DSA.
A partire dalla quarta edizione del DSM (1994), i DSA sono rubricati come una categoria dei disturbi del neuro-sviluppo, con sottocategorie specifiche che fanno riferimento ai diversi segmenti in cui si può suddividere l’apprendimento: scrittura, lettura, calcolo. A questi si possono associare ulteriori sotto-segmenti in modo tale da comporre ogni volta un puzzle delle difficoltà del bambino. Ciascun segmento, seguendo il vocabolario del manuale, è definito come «disturbo»: disturbo della lettura (Dislessia), disturbo della scrittura (Disgrafia-Disortografia), disturbo delle operazioni matematiche (Discalculia), ecc. Proveremo ora a sondare le fondamenta teoretiche di questa classificazione, per poi passare ad analizzarne le conseguenze che comporta per le difficoltà scolastiche…. (dal capitolo 6)
… Ottenere comportamenti o far nascere un soggetto autonomo e felice sono due obiettivi diversi e implicano strategie diverse, addirittura antitetiche. Nella prospettiva psicanalitica gli strumenti compensativi e dispensativi, PEI, e tutte le misure che la nuova pedagogia speciale ci mette a disposizione, lungi dall’essere adempimenti burocratici, sono invece strumenti importanti se vengono impiegati al servizio della sollecitazione del desiderio di apprendere del bambino. Al contrario sono deleteri se vengono usati in modo coercitivo per ottenere un comportamento, come se il bambino fosse una macchina che deve integrare un programma cognitivo e produrre performance.
C’è una grande differenza tra l’applicazione coercitiva del principio di inclusione inteso come una dimensione spaziale che prescinde dal soggetto, e anzi deve essere ottenuta anche qualora sia patente che il bambino ne soffre, e un principio di inclusione che poggia sul desiderio e sull’assioma lacaniano che «il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro», dunque volto a includere il bambino nel lavoro comune passando attraverso il desiderio dell’insegnante e dei compagni. Il desiderio non è mai coercitivo: per struttura tiene conto della risposta dell’interlocutore e gli fa spazio. Si noterà nei casi presentati che la prima attitudine dell’operatore davanti alle prese di posizione anti-scolastiche del bambino è sempre quella di domandarsi «perché fa così?» e cercare la logica delle risposte disturbanti che sta mettendo in atto. Solo quando ha capito qual è il problema per il bambino, l’operatore può mettersi all’opera per escogitare una soluzione che renda inutile il ricorso alla risposta disturbante.
La seconda attitudine dell’operatore è cercare i punti in cui si condensa per il bambino un piacere particolare e includerli nelle attività scolastiche facendo leva su di essi per aiutarlo a sopportare le attese, gli insuccessi, le inevitabili frustrazioni…. (dall’Introduzione)
A cura di Luisella Brusa
Edizioni Quodlibet
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