Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.
Nelle molestie sessuali sul lavoro accade qualcosa per cui una donna incontra un’esperienza degradante e umiliante. Tutto il valore della propria professionalità cede il passo, si annulla, di fronte al feticcio corporeo che il soggetto diventa per l’altro. Una donna passa dall’essere apprezzata per le proprie doti di soggetto al sentirsi oggetto di un desiderio dalle esplicite connotazioni sessuali, per poi arrivare ad un ulteriore passaggio nel quale si consuma l’avvilimento, quando si percepisce come quell’oggetto attraverso il quale il capo vuole procurarsi un godimento personale, con un effetto di totale oggettificazione e svalutazione.
In questo processo, come in ogni abuso, fa spesso capolino la vergogna. La vergogna ha spesso a che fare con il fatto che la vittima vede reso pubblico qualcosa di una condizione con cui generalmente ha a che fare da molto tempo prima delle vicende di mobbing, che è presente nel suo intimo e con cui magari inconsciamente collabora. Il senso di vergogna è un appello al ritorno del velo del pudore, che tolga dalla scena del mondo ciò che deve restare nascosto, anche a se stessa.
Una psicoterapia può trattare – nell’intimità – il rapporto inconscio di una donna con la femminilità, con la sessualità, con la condizione di vittima, con la vergogna e permetterle di rialzarsi con fierezza dalle sue ceneri e dire di nuovo sì alla vita. Una psicoterapia può essere il sostegno senza il quale non ci si riesce a separare dal luogo delle molestie e non si riesce a difendere i propri diritti. Un supporto farmacologico può aiutare a sopportare l’ansia che si scatena nei momenti più acuti. In Alia si trova tutto questo e anche eventuali indicazioni per un aiuto legale.
Parliamone…
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