Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.
Cè un cambio generazionale nel femminismo. Come ogni movimento politico e culturale può continuare a vivere solo se viene reinventato da ogni generazione. Ci fu un primo salto generazionale dalle suffragette alle battaglie per l’uguaglianza dei diritti e c’è un nuovo salto tra il femminismo della differenza e il femminismo attuale (neo-femminismo, eco-femminismo, lesbo-femminismo, vegan-femminismo, etc.) .
Se l’interrogativo Cos’è una donna? ha animato la seconda ondata del femminismo (Simone De Beauvoir, Monique Wittig, Hélèn Cixous, Carolyn Merchant, Vandana Shiva, Luisa Muraro e molte altre) dalla pubblicazione di Gender trouble in poi il femminismo può prescindere dall’interrogazione metafisica sulla donna. Sia che ascoltiamo le rivendicazioni del movimento #Me too, sia che ascoltiamo le nuove istanze dell’ecofemminismo il salto generazionale sembra che questa volta sia più profondo.
Il nuovo femminismo sembra essere un punto di enunciazione senza specificità tra i tanti di quel poliverso post-butleriano in cui si dissolve l’universo ordinato dalla differenza sessuale.
Certo, c’è anche una continuità tra alcune elaborazioni della seconda ondata e gli sviluppi attuali. È soprattutto il femminismo post-strutturalista di Monique Wittig, Luce Irigaray e Hélène Cixous che ha fatto da avanguardia. L’attribuzione di una valenza sessuale al genere grammaticale e il conseguente progetto di una lingua sessuata vengono da quelle riflessioni. La riscrittura della lingua propria del politically correct è la realizzazione più ardita di quelle prime rivendicazioni.
Ma vale la pena notare che questa continuità maschera una profonda discontinuità. Alla fine del Secolo scorso, con Hélèn Cixous – e nel campo dell’ecofemminismo con Carolyn Merchant o Vandana Shiva – si trattava di estrarre la differenza femminile, esplorarla e farla contare sulla scena politica, sociale e anche scientifica in un progetto volto a «inscrivere la differenza femminile nel linguaggio e nel testo». Non a caso la seconda ondata di femminismo ha preso anche il nome di “femminismo della differenza”. È un progetto che in fondo mira alla liberazione del principio femminile a cui porta un percorso analitico, il principio che viene occultato dall’ideale patriarcale.
Dopo Butler il performativo del genere indirizza le speranze femministe in un’altra direzione: nuovi enunciati produrranno nuove identità di genere dimostrando che un soggetto femminile è un’illusione che può essere sostituita solo che il discorso “lo voglia”. La dimensione volitiva è un tratto essenziale.
Per concludere, se per la prima e la seconda ondata di femminismo lo psicoanalista era un partner quasi naturale, all’epoca del nuovo femminismo è invece destinatario più delle singolarità che del discorso collettivo. Del resto, lo psicoanalista non è mai allineato con il discorso sociale, la sua analisi personale lo ha già condotto a svuotare la propria ideologia del punto di certezza che la fonda. Sa che l’assenza del posto per la differenza nel discorso sociale si traduce nell’horror vacui dei discorsi singolari, con l’angoscia che l’accompagna;….
L’intervento è pubblicato sulla rivista Attualità Lacaniana n. 34
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