Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.
È alla ribalta nella cronaca di questi giorni l’impatto devastante che alcuni interventi di chirurgia estetica possono avere sulla salute e la vita di una donna. È un argomento a cui in Alia siamo, da sempre, molto attente e sensibili: sempre di più molte giovani donne sofferenti pensano che l’unica soluzione possibile per una presa di distanza dal dolore che provano sia mettere mano ai propri corpi con un intervento di chirurgia estetica. Correzioni reali delle imperfezioni sembrano l’unico modo per sciogliere i nodi di una sofferenza che non riesce a trovare articolazione in una forma altra dal: non mi piaccio, sono brutta, non mi posso vedere. Quello che iniziamo a raccogliere oggi è l’emergere alla superficie degli effetti catastrofici, irreversibili e, talvolta, mortiferi di tali scelte.
Ma cosa è la bellezza?
Si può dire che non è più un ’enigma, il magnetismo di una incognita; come il sorriso della Gioconda che lascia in sospeso tra certezza e dubbio quanto al fascino che esercita. Non è più il mistero che risiede in alcune figure femminili imperfette; eppure, “iconiche” . La bellezza non è più uno stile nell’abito che avvolge e valorizza per cui basta “indossare quei panni” per percepire quel tanto di sicurezza in più.
Tutto questo non fa più garanzia. Non è abbastanza, non ci si crede.
La bellezza, per molte donne oggi, è diventata una risposta che va assunta nella carne, dunque a prezzo del corpo; come le sofferenze anoressico-bulimiche hanno anticipato con i loro corpi
Alle volte, purtroppo, è l’unica risposta; in una realtà che esige corpi esposti, misurati, pesati; incontrovertibilmente perfetti.
Caduto il velo dell’enigma, il gioco dell’abito, se si smette di lasciarsi interrogare dal mistero o di fare appello alla trovata, all’invenzione di un proprio modo di essere femminile allora ciascuna donna si trova da sola e nuda di fronte allo specchio che rifrange quella differenza che ognuna ha, è la propria singolarità, che subito diventa imperfezione e implacabilmente difetto da rimuovere.
Lo specchio è anche il nostro corpo. È per il suo tramite che lo incontriamo, e prima di lui hanno “fatto da specchio” le parole che hanno accolto la bambina che ciascuna è stata. Parole che si sono fatte sguardo quando pronunciate o quando taciute, spesso più dolorose perché poco rassicuranti nella loro indecifrabilità. Parole-sguardo che hanno lasciato la cicatrice della umiliazione, della sgradevolezza, dell’inadeguatezza, di un troppo o di un meno; oppure parole-sguardo che non hanno accompagnato all’incontro e al riconoscimento con la propria immagine nella sua interezza: “quando mi guardo allo specchio non so chi sono”.
Quando si arriva e scegliere di “mettere mano” alla propria carne è perché si ha il desiderio di ingentilire, addolcire il proprio corpo; “farselo” (costruirselo) per poterlo riconoscere, abitare o semplicemente sopportare. “Mettere mano” per lenire l’impatto delle parole-sguardo che in realtà non albergano nel passato, per quanto remoto, ma piuttosto sembrano tornare negli occhi di chi si incontra.
La carne che si vorrebbe tagliare, modificare, eliminare sono le parole-specchio ricevute.
Si può arrivare ad avere un rapporto claustrofobico con il proprio corpo ed è lì che si può imboccare la porta della chirurgia estetica, pensata come unica via di fuga. Facilmente, però, si tratta di una porta girevole: è un attimo ritrovarsi al punto di partenza. L’impressione che ritorna, implacabile, è che ci sia dell’altro, qualcosa ancora è come rimasta attaccato, non si è tolto. Allora si sceglie un altro pezzo di corpo e un altro intervento. Ma fino a quando?
Si può scegliere: darsi un tempo rispetto all’urgenza dell’azione, un tempo di parola. Scegliere di varcare un’altra porta: quella della psicoterapia. Un luogo altro in cui si opereranno dei tagli ma sulle parole ricevute e si potrà lavorare di ago e filo per imbastire altri discorsi, con altre parole capaci di fare posto ad uno sguardo nuovo.
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